Ieri, nella nuova sede del Job appena inaugurata in via Luca della Robbia, è stata aperta al pubblico un’esposizione di tre opere dello scultore Giovanni Gentiletti, prematuramente scomparso. Sono due “ruote della memoria” e un “cono”, sculture scelte perché legate al tema del lavoro. E al Job di lavoro si parla, si cerca e si studia di renderlo realtà per tante persone, specialmente in tempi di crisi economica.
“Le ruote” rappresentano la fatica e il lavoro dell’uomo, sono state create dall’artista nel 2004, hanno il diametro di un metro e un mozzo centrale. Una presenta una serie di lunghi chiodi appuntiti, mentre l’altra mostra sulla superficie piccoli ciottoli acuminati triangolari e una raggera attorno al perno centrale.
“Il cono”, eseguito nel 1995 e ripreso nel 2000, alto 260 cm., raffigura il tronco di un albero nella cui corteccia, a strati sovrapposti, emergono tracce di una civiltà ormai scomparsa, espresse attraverso i tipici segni gentilettiani: impronte arcaiche, chiodi acuminati, lunghe scale, ondulazioni orizzontali che simboleggiano l’acqua e radici. È la prima volta che Gentiletti crea il simbolo delle radici, che escono con forza dalle fessure della corteccia per protendersi verso la terra. Rappresentano la continuità tra passato e presente, lo sviluppo della civiltà che da modalità arcaiche si espande verso nuove vie, ma ben abbarbicata alla terra, madre feconda e origine della vita. Anche l’acqua è simbolo di fertilità e di vita, le scale sono lo strumento e l’espressione del progresso, del desiderio dell’ascesa anche spirituale (in altre sculture posteriori farà esplicito riferimento alla scala di Giobbe), i chiodi sono i manufatti, gli utensili creati dagli uomini. Le impronte arcaiche sono ciò che resta di antiche civiltà della Terra o di mondi venuti dallo spazio, ma che hanno lasciato qui le loro orme, i loro segni e il loro sapere.
“Il cono” è esposto per la prima volta, per gentile concessione della moglie Tullia e delle figlie Ilaria e Daniela , per sottolineare l’importanza del restauro e del recupero dell’antico convento camaldolese di S. Maria degli Angeli.
L’esposizione rimarrà aperta fino al 30 gennaio.